2023

Il commissario Cataldo e il caso Tiresia

Editore: Damster edizioni
Collana: I GIALLI DAMSTER N°29
Pagine: 260
Formato: 14x20 Brossura
Euro:16,00
EAN:  978-88-6810-499-3

Il commissario capo Giovanni Cataldo, al culmine della maturità professionale, era l’orgoglio della questura di Modena. Ma la separazione dalla moglie, la lontananza dai figli e il recente abbandono di Annachiara, la donna con cui aveva sperato di ricominciare ad amare, lo hanno condotto a una depressione che nemmeno una lunga vacanza da solo, lontano dallo stress del lavoro, sembra lenire.
Finché, all’improvviso, gli giunge per caso la notizia di un feroce delitto proprio nella sua città: a una donna, proprietaria di un vivaio, qualcuno ha tagliato la gola, inciso un numero su una guancia e cavato gli occhi. Il cognome di lei gli risveglia d’istinto un ricordo: quello di una ragazza, Cristina Bertoni, frequentata brevemente vent’anni fa ma mai dimenticata. E quando Cataldo scopre che la vittima è la sorella, decide di tornare e di assumersi l’indagine.
Il caso, però, si fa sempre più difficile. Perché due giorni dopo un’altra donna - un’avvocatessa - viene brutalmente ammazzata con le stesse modalità. Qual è il filo rosso che lega queste due persone, ignote l’una all’altra, diverse per mestiere, cultura, stato sociale? Sono i delitti di uno psicopatico, come pensano il questore e una profiler, o c’è un movente preciso e una mente lucidissima dietro tutto questo? E l’assassino colpirà ancora?
Coadiuvato dall’ispettore De Pasquale e da un enigmatico agente, al fondo di un orrore mai così cupo, in una corsa disperata contro il tempo, Cataldo dovrà, sì, scoprire chi sta spargendo tanto sangue, ma insieme – alla fine dell’inchiesta più amara della sua lunga carriera – fare i conti con se stesso, i suoi sentimenti e la sua stessa vita.


Primo capitolo

1

È dentro casa, di mattina. Sta provando per l’ultima volta. Davanti a un manichino. Prima di fare quel che deve.
Studia il coltello. È a scatto, col manico marrone scuro e la lama corta.
Protende un po’ i fianchi, si assicura di essere in equilibrio, porta il coltello in avanti e verso l’alto. Lo conficca e lo estrae. Lo conficca e lo estrae di nuovo. Sempre più veloce, ma dando ogni volta alla lama il tempo di entrare fino in fondo.
Sospira. Riflette. Il taglio di un coltello, liscio e pulito, è anonimo. La ferita no, non è altrettanto anonima, può far capire la lunghezza e la forma della lama, perciò deve impegnarsi a recidere la giugulare. Anziché mirare subito al torace, al bersaglio grosso.
Però così non soffrirà. Vuole, invece, farla soffrire.
Abbassa l’arma, indugia a testa bassa. Poi alza gli occhi a guardarsi allo specchio.
S’immagina tutto. È alle spalle di lei, si avvicina. Con la sinistra le afferra i capelli della fronte e le tira indietro la testa. Le preme la punta contro il collo, squarcia la pelle, passa il filo della lama sulla gola. Il cuore pomperà fuori una cascata di sangue, poi stop, tre secondi e l’intensità degli spruzzi diminuirà.
Fine. Morta.
E dopo...
Fa un passo indietro. Si raddrizza, trattiene il respiro, si figura la scena. Lascia uscire l’aria. Avanza di nuovo verso il manichino. Vede la lama brillare di una luce tenue e bellissima, come un gioiello prezioso.
No, così no, ripete. Deve soffrire di più. Come ha fatto soffrire loro.
Manca poco, adesso. Ma ne avrà il coraggio?
Finge che non è nulla. Che si tratta solo di un sogno. Irreale. Qualcosa che può anche scomparire con un battito di ciglia. Invece non è così. Se esce da quella porta, non potrà cancellare niente.
Appoggia la nuca alla parete. Si costringe a respirare in maniera regolare, per normalizzare il battito cardiaco. Il cervello ha bisogno di ossigeno per pensare in modo lucido, si dice, per riprendere il controllo.
Per cominciare la missione.


La donna non sa che morirà entro due o tre minuti. Chiude la porta d’ingresso dietro di sé, va in cucina a posare sul tavolo i sacchetti della spesa. Per fortuna il discount era aperto, pensa, quella domenica; l’ultima d’agosto. Ma si rende conto subito che qualcosa non va. Ha lasciato la finestra aperta e mentre entra un piccione vi svolazza dentro, percorre un cerchio sopra la sua testa, si appollaia per qualche istante sul davanzale, poi vola via. Un piccione in casa è segno di morte. Le parole di qualcuno le rimbombano in testa.
Stupida cretina superstiziosa, pensa irritata, ma ormai le è impossibile scrollarsi di dosso quel presentimento.
Chiude la finestra. Si sente sudata. Logico, fa già caldo, anche se è solo mattina. Meglio andare in camera, e dopo in bagno, a cambiarsi. Percorre il corridoio, poi si ferma, la mano sulla maniglia.
Possibile che l’abbia chiusa lei? La lascia sempre aperta, la porta della camera da letto, quand’è in casa da sola...
Preme piano, apre. Uno scricchiolio, alle sue spalle. Si volta. Troppo tardi. Vede la figura in piedi a un passo da sé, forse meno. Più alta, più forte. Con in mano qualcosa che luccica.
Fa per urlare, ma tutto quel che sente è un sussurro roco. Un respiro simile a un sibilo.
Allora perde il controllo. Di colpo si sente calda e bagnata fra le gambe.
L’ombra alza il coltello. Toccato dalla luce, il filo della lama traccia un sottile raggio diagonale sul viso e su un occhio di chi lo impugna. Poi l’ombra cambia idea, la colpisce all’improvviso col taglio dell’altra mano, al collo. Nello spazio fra l’orecchio sinistro e la spalla.
Lei barcolla, la vista le si offusca. Mentre sente la punta del coltello premere sulla sua pelle, sotto il vestito, e spingere, e ruotare, e poi ritrarsi e affondare ancora, e il sangue sgorgare tiepido, appiccicoso, su tutta la sua mano, sul suo braccio.
— No — cerca di dire, ma c’è sangue dappertutto. Cade all’indietro. C’è un’umida viscosità sul pavimento, e i piedi e le mani di lei scivolano, mentre striscia lentamente.
Si ritrova della saliva in bocca e la inghiotte. Il sangue esce a fiotti dal suo addome. Cerca di fermarlo con la mano, ma il flusso le zampilla fra le dita.
— Chi sei? — tenta di domandare.
Un altro spruzzo di sangue imbratta la porta. Lei riprende a strisciare lungo il corridoio. Incredibilmente, riesce a sollevarsi col busto contro la parete, tremando, prima di cadere. E mentre crolla, l’ombra continua a colpirla con forza, ancora e ancora, inginocchiandosi sopra di lei, finché non ci sono più suoni, né altro. Finché lo sguardo della donna si fa di vetro. Scivola sul pavimento, lasciando una lunga striscia rossa sul muro. L’ultimo respiro è un gorgoglio.
Allora chi ha colpito le cinge la fronte con il braccio e tira a sé con forza: le piega la testa un po’ all’indietro e sente la lama sparire nella fessura fra il mento e il petto, toccare la pelle e affondare. L’acciaio squarcia la gola e prosegue verso destra, verso la carotide.
Ora la donna non sente più niente. Il cuore ha rallentato il ritmo e il sangue ha smesso di fluire.
Giace nel corridoio. Solo dei lievi spasimi sembrano scuoterla ancora, come gli impulsi elettrici di un congegno ormai distrutto che si ostina a non morire.


Attende qualche minuto, finché il respiro non torna normale e il cuore riprende il suo battito regolare.
La donna è lì per terra, gli occhi aperti, la testa girata. Ha un braccio piegato verso di sé, la mano sollevata e le dita tese come in un saluto. Sulla fronte, un taglio che sembra un fiore di ciliegio va scurendosi in un attimo, finché i petali ricadono lungo la sua faccia e colorano il pavimento con esplosioni rosse, e una pozza comincia a formarsi dietro la sua testa, densa come vernice rovesciata.
Guarda a lungo la donna, la cui testa è rivolta dalla sua parte con occhi che sembrano riempiti di latte. Dopo si avvicina, si mette in ginocchio. Le prende la palpebra inferiore tra il pollice e l’indice e la tira in giù. La lama brilla per un attimo nella luce, poi scende nell’orbita, tra la palpebra e l’occhio.
Un gesto del polso. Esce del sangue.

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