2024
NESSUNO SI SENTA AL SICURO
La terza indagine del commissario Torrisi
Editore: Damster edizioni
Collana: I GIALLI DAMSTER N°76
Pagine: 210
Formato: 14x20 Brossura
Euro:16,00
EAN: 978-88-6810-589-1
Un giugno caldissimo, a Modena. Una donna di cinquant'anni è colpita da un ictus mentre fa jogging, da sola, su un sentiero di campagna. Morte naturale. Pare. Un altro giugno - sempre molto caldo, sempre a Modena - ma quattro anni dopo. All'improvviso tante persone cominciano a morire per mano di uno stesso assassino. La prima è una fioraia di mezz'età, uccisa a sangue freddo mentre è a spasso col suo cane. La seconda è una ragazza tunisina, incinta, assistente di poltrona di un dentista. La terza è un ricco imprenditore, colpito a morte nella sua bella villa. Vittime molto diverse - chi con un piccolo lavoro e una piccola vita, chi con le stimmate del successo borghese - che non si conoscevano, senza rapporti e senza un movente logico, a legarle... La città ha paura, la tensione sale. Incaricato delle indagini, il giovane commissario Torrisi, tanto solitario e tormentato nella vita privata quanto determinato e acuto nel proprio lavoro, si getta subito sulle tracce di un omicida inafferrabile, in una corsa disperata contro il tempo, col sostegno costante dell'ispettore Carloni, più amico, ormai, che collaboratore. E mentre la scia di sangue non sembra arrestarsi, i due dovranno immergersi con coraggio e empatia in un intreccio doloroso di colpevoli che sembrano vittime e vittime colpevoli, finché - tra reticenze e menzogne, ipotesi e incertezze - scopriranno la verità nei segreti del passato di un ospedale e di una sala operatoria, chiudendo, sì, il caso, ma lasciando aperto - a loro stessi e ai lettori - un problema etico e civile di estrema, tragica attualità.
È il tredici di giugno. A metà del mattino.
Nei prati di San Clemente, poco fuori Bastiglia, una donna sulla cinquantina sta facendo jogging da sola. La sua falcata è continua, regolare. Senza strappi. Un po’ segue il sentiero di fianco alla pista ciclabile che porta fino a Modena, un po’ scende a calpestare l’erba secca. Alla fine si ferma, le mani sui fianchi; inspira e respira a bocca aperta. Gira intorno lo sguardo.
C’è un grande silenzio. Il mondo sembra immobile. Mucche remote, nient’altro che puntini bianchi e marroni, interrompono il verde dei campi. Alberi di altezze diverse tracciano la linea dell’orizzonte.
Riprende a correre. D’un tratto la sua attenzione è attirata da qualcosa. Molto lontano, sulla strada provinciale, sta arrivando un’auto. Le sembra che vada molto veloce, ma non ne è sicura. Non può distinguerne neanche il colore.
Lo stomaco, ecco, ricomincia a bruciarle. E di nuovo quel gusto d’acido in bocca. Annuisce. Colpa dell’unico caffè che ha mandato giù, stamattina, dal momento che s’è alzata. E colpa sua, che non se l’è sentita di svegliare sua figlia. Ha fatto le ore piccole, lei, per festeggiare l’ultimo esame andato bene, insieme alla sua migliore amica, Mariana. Hanno mangiato, bevuto, ascoltato musica a tutto volume, al piano di sopra: le ha sentite bene. Ma è giusto così; che si divertano, finché possono. Ci penserà la vita, fin troppo presto, a imporre i suoi doveri.
L’auto è un po’ più vicina, adesso. E sulla provinciale le sembra che sia apparsa una figura, a piedi. Ma all’improvviso un’acuta fitta di dolore all’altezza dello sterno - preannunciata, un attimo prima, da un forte palpito del cuore - la costringe a fermarsi; a piegarsi bruscamente. A mettersi in ginocchio. Di colpo la testa le gira, gli occhi sono pieni di buio, le gambe non hanno più spinta, né i gesti misura e precisione. I battiti del cuore rallentano, fin quasi a fermarsi. Cade con la fronte in avanti, schiacciata sull’erba.
Nel centro di Bastiglia, una ragazza si sveglia a fatica, si stira, cerca l’orologio sul comodino, senza trovarlo.
— Mariana, sei sveglia?
Le risponde uno sbadiglio, dal letto di fianco. Lei le ripete la domanda, e poi: — Sai che ore sono?
— Le dieci, direi. Aspetta un momento... Sì, sono le dieci. Perché?
— Dio, le dieci del mattino! Avevo promesso a mia madre...
— Che cosa?
— Che saremmo andate a correre insieme. Dio, sarà già partita da sola...
— Ieri abbiamo festeggiato, Elena. Ti ricordi? Per questo non ce l’abbiamo fatta a svegliarci presto. Niente più esami, niente più sveglia, l’hai detto tu. — Si alza in piedi anche lei. — E poi, come ti senti? Ce la fai, a metterti a correre?
Non risponde, indossa calzoncini e maglietta. Ha un cerchio alla testa, ma ogni promessa è un debito. Saluta l’amica, attraversa il soggiorno. In quella luce sobria e discreta l’appartamento ha un’aria abbandonata e triste: piatti e bicchieri della sera prima sparsi sul tavolo, una lieve corrente d’aria a sfogliare le pagine di un suo quaderno, la sua camicia scivolata sul pavimento e lunghe ombre oblique tutt’intorno. Sente una fitta allo stomaco, così intensa e fisica che pensa debba essere sete. Ma non ha tempo di bere. Apre la porta. Per fortuna conosce il percorso, sempre quello.
Scende le scale in fretta. E in strada accelera. Incontrerà la mamma di sicuro, vicino al santuario di San Clemente. O forse un po’ più in là, verso la provinciale.
Non si accorge d’aver lasciato a casa il cellulare.
Sono passati pochi minuti, quando la vede. Macchia scura sull’erba, di fianco al sentiero.
— Mamma...!
Non risponde. Però respira ancora. Il 118... sì, il 118, subito! La mano scatta a cercare il telefono, che non trova. Un grido strozzato, un brivido lungo la schiena. Calma, si impone; devo restare calma. Alza gli occhi. In lontananza, sulla provinciale, c’è un’auto ferma, la portiera spalancata. E fuori dall’auto un uomo, in piedi.
— Aiuto... aiuto!
Si sbraccia, correndo. Ma la voce le esce fioca, arrochita. L’uomo non sembra accorgersi di lei, non si volta, rimane di spalle, girato verso qualcosa che lei non vede ancora.
— Aiuto! — continua a gridare.
Incespica, si rialza, riduce la distanza. Ora l’uomo la sente, si volta, si sposta di lato. E adesso la vede anche lei, la donna, coperta fino a quel momento dalla sagoma di lui.
Una donna, sì. Inginocchiata davanti a qualcosa che da lì sembra un fagotto. O un corpo.
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